La potenza della nostalgia

La nostalgia è una strana malattia che, senza che ce ne accorgiamo, ci contagia e ci vince, con tutto il suo corredo di leggera tristezza, di rimpianti e rimorsi (tra i quali peraltro non abbiamo mai saputo scegliere).

Non esistono antidoti o vaccini, basta un attimo, un piccolo focolaio scatenato da chissache e l’epidemia è dietro l’angolo. E come ogni malattia che si rispetti ci sono stagioni in cui si fa più pericolosa.
L’autunno – inteso come stagione dell’anno e della vita – è uno di questi.

In questo settembre appena finito, poi, siamo state coinvolte in un vero e proprio festival della nostalgia: ovunque era tutto un tirar fuori vecchie glorie, rispolverare ricordi, celebrare tempi che sembrano migliori per il solo fatto di essere “andati”.

Sul red carpet della Mostra del  Cinema a Venezia hanno sfilato Robert Redford e Jane Fonda, in un profluvio di citazioni da A piedi nudi nel parco e Il Cavaliere elettrico, aneddoti e commenti su come baciava bene lui e quanto si è mantenuta bene lei. Ricordi su ricordi di impegni politici e campagne ambientaliste, Workout e Sundance Festival.

La foto più pubblicata, postata e twittata della settimana della moda è stata quella delle cinque-topmodel-cinque di Gianni Versace, quasi uguali alle loro stesse degli anni Novanta. Comunque sempre di gran lunga più belle, magre, alte e altezzose di noi che, anche se siamo sempre state seguaci di Armani  ci siamo lasciate scappare la lacrimuccia metaforica al ricordo dei nostri trent’anni vissuti tra “Milano da bere” e Sotto il vestito niente.

E che dire della massima espressione di nostalgia canaglia, con tanto di rughe esibite en pendant con giacche glitterate e cioè il concerto dei Rolling Stones?  Sul prato di Lucca non si contavano le teste brizzolate e la più frequente conseguenza post concerto riscontrata tra il pubblico è stato il gran mal di schiena per essere rimasti in piedi e a ballare per otto ore filate.

A nulla vale cercare di coinvolgere le giovani generazioni nei nostri riti, sappiatelo: cantare insieme ai nostri figli You cant’ get always what you want cercando di farlo sembrare un insegnamento per loro (mentre invece è soltanto un’amara constatazione relativa alla nostra esistenza)  non può essere considerato uno stratagemma per sfuggire alla tenerezza e al rimpianto per la stagione in cui ogni singolo momento ci sembrava dovesse durare per l’eternità.

E tanto per aggiungere il carico pesante, mi sembra superfluo ricordare come questa canzone si trovi in quell’altro grande caposaldo della nostalgia over 50 che è Il Grande Freddo: la nostalgia al quadrato, che prende a tradimento.

Da A piedi nudi nel parco sono passati cinquant’anni, venti dall’assassinio di Gianni Versace, dal primo concerto dei Rolling Stones ci separano 55 anni. Praticamente tutta la nostra vita. Ed eccoci qui a cercare ancora la vitalità maledetta del rock, la bellezza patinata della moda pre-Zara e il romanticismo hollywoodiano con la faccia del bravo ragazzo.

Una volta che si inizia non c’è limite al flusso della nostalgia e allora tanto vale risolverla con un bel pianto generico, in cui metter dentro di tutto:  il ciuffo di Robert e il tipo che non ci ha mai filate di pezza, i passetti di Mick Jagger sul palco e le vacanze eterne di una volta, i grandi stilisti e quel corso all’ univeristà di Parigi che non abbiamo mai avuto il coraggio di iniziare…Insomma, tutto quello che merita essere ricordato.

Ma dopo la lacrima liberatoria, scatenata dalla nostalgia “urbi et orbi” amplificata da giornali, televisioni e social media cerchiamo di tornare con i piedi per terra e la testa al presente. Che a ricordare e rimpiangere avremo ancora tutti gli anni a venire.

Perché, per dirla insieme agli Stones, che degli anni che passano hanno fatto un loro cavallo di battaglia, Time waits for no one: il tempo non aspetta nessuno e i ricordi – come le rughe – non sono altro che la prova che abbiamo vissuto.

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